Andrea Robbiano
Francesca Mazzarello
55 minuti
“FarFalle” racconta di un circo dagli animali strani, di un uomo che russa male, di numeri sulla pelle, di una lettera mai arrivata, di un bacio alla stazione. E di come le farfalle sono scomparse.
“FarFalle” è una lavagna su cui scrivere il nome dei buoni e quello dei cattivi. “FarFalle” racconta di un lager e della memoria ad esso legata. “FarFalle” è la storia di un uomo chiuso dentro la sua memoria, che intreccia e sbanda. Confonde gli eventi storici e la loro collocazione nello spazio e nel tempo. È il racconto di un uomo a un altro uomo, nella speranza che la memoria non sia solo quella storica di cifre, date ed eventi, ma quella profonda dell’esperienza fisica ed emotiva. Per provare a far sì che quello che è stato non accada più, qualunque sia la faccia del carnefice e qualunque sia la faccia della vittima. Perché una volta entrati in un lager i contorni della vita si perdono nella memoria. “FarFalle” racconta come.
Farfalle è stato scritto per raccontare in maniera diversa l’affronto più grande dell’uomo a se stesso: il campo di concentramento. Nel corso del XX secolo, in diversi ambiti e in diverse parti del mondo, l’uomo ha deciso deliberatamente di recludere l’uomo e privarlo di libertà fondamentali e necessarie. Ovviamente tutto parte dall’esperienza dei lager nazisti e fascisti ma il fatto che siano i più conosciuti e quelli che hanno mietuto più vittime non dev’essere un’occasione per restringere il campo dell’analisi ed escludere dalla visuale il vero nocciolo della questione. Lo spunto per lo spettacolo parte da un fatto realmente accaduto: una cartolina arrivata in ritardo di quasi 70 anni da un campo di prigionia, scritta da un padre alla moglie e ai figli per tranquillizzarli, una cartolina ritrovata per caso in un’asta di oggetti vintage dal vicino di casa dei destinatari. Il contenuto della cartolina non è pubblico, lo spettacolo è stato scritto provando a immaginare cosa si può scrivere a una famiglia da un campo di
reclusione.
E soprattutto, visto il tempo trascorso, immaginando il percorso che la cartolina può aver fatto nel tempo e nello spazio, negli eventi storici che si sono susseguiti.
E insieme al significato che una cartolina può avere dopo 70 anni, la domanda è: cosa può restare di quelle parole dopo
tutto questo tempo? Cosa può veramente giungere a destinazione e cosa invece è stato assorbito dal resto della vita trascorsa? Il protagonista dello spettacolo è il risultato di tutti questi elementi, un uomo che ha perso la memoria, che
intreccia pezzi di passato e di presente, che mischia le date e gli eserciti in gioco, che non ricorda neanche più qual è il
suo ruolo: vittima o carnefice? Ha solo una certezza: quella di essere un uomo a cui rimane l’essenziale, l’unico
messaggio che può rimanere integro anche a distanza di secoli, l’unico segnale che non può essere corrotto dall’instabile coerenza del potere. Una farfalla. O qualcosa di simile.
La drammaturgia è pensata per arrivare a fasce d’età diverse, dai ragazzi delle medie fino al pubblico adulto, proprio perché il messaggio non ha bisogno di uno studio approfondito a
monte dello spettatore e nello stesso tempo non affronta in maniera didascalica o didattica date, eventi e protagonisti. I
protagonisti di quella storia siamo noi, i presenti e i trapassati, senza facilitarci il punto di vista sedendoci di default dalla parte dei “buoni” ma scomodandoci in tutti i ruoli. Il problema, a questo punto, non è stare dalla parte giusta ora e qui, ma trovare una grammatica umana che valga sempre e per sempre, qualunque siano le circostanze. Le stesse persone che commemorano le vittime dei lager nazisti, attenendosi alle circostanze in maniera superficiale, senza che quell’esperienza passata insegnasse nulla. Serve allora studiare la storia? O è più importante interrogarsi su quanta percentuale di “Kapò” c’è in ognuno di noi? “Farfalle” mischia tutto, parte dalle idee per arrivare agli animali e agli uomini, si interroga su cosa voglia dire avere un numero tatuato sulla pelle e su cosa voglia dire “essere” un numero tra tanti. Si chiede, parafrasando Levi, se questo è un uomo ma anche se “quello” è un uomo, ribaltando la pietà. Un insieme di immagini dai contorni fuori fuoco per lasciare in primo piano poche cose essenziali che traccino un cammino. Un bacio, una lettera e una bambina che viene accompagnata a scuola. E le farfalle, ovviamente.